Il lavoro, il Mezzogiorno, il Sud e lo stallo dell’Italia [Parte 1]

Questa volta parto da lontano. E parto ponendomi una domanda: “come è possibile che coloro che sapevano tutto della fabbrica, della catena di montaggio, a un certo punto si sono trovati spiazzati?”. Domanda difficile, ma non mi tiro indietro e una risposta tenterò di darla, cercando di essere il meno complesso possibile. Allora, se ci riferiamo ai lavoratori, io non penso che si sentano spiazzati. Cominciamo con l’analizzare i tempi e gli orari. Se riflettiamo vi è un rapporto tra tempi di vita e orari di lavoro che ha procurato sicuramente una trasformazione. Per capire meglio le contraddizioni che possono avvenire tra organizzazione del tempo e gli orari non possiamo che fare riferimento a tre fasi storiche che si sono succedute nei paesi cosiddetti sviluppati e quindi cercherò di non appesantire il ragionamento. Le tre fasi sono il fordismo, il post-fordismo e quella attuale.

Il fordismo, con le sue esigenze tecnologiche della produzione di massa, insieme a un sindacato forte e rappresentativo, avevano favorito una tendenza alla standardizzazione dei regimi di orario, praticamente una sincronizzazione dei ritmi di vita e di conseguenza il condizionamento dell’intero corso della vita. I servizi, per esempio, adottavano orari standard di apertura al pubblico, ricalcando gli orari di ufficio e di fabbrica, praticamente non si teneva conto delle esigenze del consumatore. Le persone erano costrette a collocare le attività sempre negli stessi periodi dell’anno. Questo, lo immaginerete, comportava code, ritardi, perdite di tempo che non erano altro che il risultato della tendenza alla sincronizzazione delle attività. E, non vi sembri strano, questo creava disagi alle figure emergenti, anche se ancora marginali, come le donne e gli anziani. Le prime subivano la doppia presenza, lavoro e casa. I secondi avendo conquistato il tempo libero, lo riscoprivano vuoto. Era una società sincronizzata e rigida che faceva emergere esigenze di sincronizzazione e flessibilità.

Ed è così che ci immergiamo nel post-fordismo. Quel periodo che per semplificare possiamo definire dell’industria ristrutturata, con i suoi ritmi di lavoro imposti dalle richieste immediate del mercato. E la capacità di offrire la prestazione o di garantire la consegna in minor tempo diventa un fattore importantissimo di competizione sul mercato. Nei servizi alle persone, per esempio, emerge sempre più la necessità di offrire prestazioni al di fuori degli orari standard. La carenza di tempo che a vari livelli produce code e attese, l’allargamento delle metropoli e il conseguente aumento della mobilità urbana, impongono la desincronizzazione di molte attività. La vasta disponibilità di servizi a qualsiasi ora del giorno e della notte è assicurata da invenzioni tecnologiche come i cellulari e internet. Tutto questo produce un solo risultato: le richieste del consumatore entrano subito in contraddizione con l’organizzazione precedente, si chiedono orari più lunghi (commercio e servizi), l’apertura dei centri commerciali durante i weekend, orari più confacenti alle esigenze di una città che potremmo definirla “sempre attiva” con la conseguenza che chi non si adegua viene abbandonato.

Mimmo Oliva

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