Pensieri contemporanei: intervista a Mauro Maccauro

Mauro Maccauro è presidente di Confindustria Salerno. Imprenditore siderurgico, già presidente del gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Campania, è eletto il più giovane presidente dell’unione industriale della provincia campana.

Partendo dai dati sull’astensionismo elettorale, e in particolare sul crollo diffuso del numero dei votanti tra 1° e 2° turno delle ultime consultazioni, si può affermare che la partecipazione politica “affascina” sempre meno?

«Senza dubbio viviamo una stagione di crisi della politica determinata da tre aspetti, innanzitutto una legge elettorale per i rappresentanti al parlamento che ci ha abituato a nominare le persone e non a eleggerle, in secondo luogo nella percezione comune non è la politica a decidere le sorti della società ma altri fattori, principalmente geopolitici e economici e, in ultimo, c’è una difficoltà da parte degli Enti a dare risposta alle richieste della comunità perché mancano i fondi e ciò provoca malcontento nei cittadini. Tutti questi elementi hanno determinato un allontanamento dei cittadini dalla politica».

Nell’immaginario collettivo si consolida la convinzione che i partiti siano concretamente in mano a grandi elettori. Secondo lei, è vero, perché e chi sono?

«I partiti non sono in mano a grandi elettori, piuttosto vivono una crisi di rappresentanza, la classe politica non è percepita come risolutrice dei problemi del Paese. È auspicabile, dunque, che la politica riprenda un’azione più chiara e trasparente. Gli scandali riferiti ai rimborsi facili hanno allontanato i cittadini. I partiti devono recuperare credibilità».

A suo giudizio, cos’è e quanto conta la credibilità in politica?

«È l’elemento essenziale per chi vuole interpretare il ruolo della rappresentanza. La propria credibilità è importante. Solo le persone credibili dovrebbero assurgere a ruoli pubblici».

La politica di governo sembra annaspare nel tentativo di dare risposte concrete ai bisogni reali dei cittadini. I numeri disegnano un paese frammentato e al collasso. Qual’è il senso di “partito liquido” lanciato da Renzi in una fase in cui l’offerta politica non riesce a incontrare la domanda?

«“Partito liquido” è, a mio parere, un’espressione astratta. Penso, invece, sia necessario focalizzare la propria attenzione su un altro concetto: il ritorno di una stagione in cui la politica si interfacci con i corpi intermedi e con i cittadini e riprenda un percorso strutturato e finalizzato a dare vita ad avere una classe dirigente ben formata, preparata e capace».

Se è vero che la fiducia nelle istituzioni abbia toccato il fondo a quali rischi si espone il paese?

«Il paese è esposto al caos e la crisi economica che viviamo contribuisce a destabilizzare un sistema, come purtroppo è successo in altre nazione. Ovviamente, ove mai le Istituzioni non reggessero, si potrebbero aprire fronti spiacevoli anche nel nostro Paese».

Gli sbarramenti elettorali privano la rappresentanza parlamentare a molti milioni di votanti. Come si coniuga questo diritto negato con la necessita di governare? E, secondo lei, esiste una modalità alternativa?

«Credo che la riforma elettorale così approvata con la soglia di sbarramento al 3% abbia dato ampie garanzie di possibilità ai partiti in competizione. Andare sotto questa soglia avrebbe creato ulteriore frammentazione poco funzionale alla governabilità del Paese».

Nel quadro istituzionale attuale sembra difficile definire quanto il Sud conti nelle priorità dell’agenda politica di governo. Quali sono, secondo lei, i motivi e cosa si può fare per riportare la questione meridionale al centro della partita?

«Bisogna avere il coraggio di dire che il Sud ha bisogno di una strategia dedicata. Chi dice che il Mezzogiorno deve rientrare in una più ampia politica nazionale, di fatto, non ne vuole la ripartenza. I governatori del Sud, Campania in testa, dovrebbero aprire un fronte comune con il Governo e all’interno della Conferenza Stato-Regioni. I parlamentari dovrebbero lottare con le unghie e con i denti nelle Commissioni al fine di non farsi scippare ancora altri fondi. Si deve agire su più fronti: con l’Europa per ottenere via libera a una free tax area; con il Governo per “pretendere” che la costituenda S.p.A. con dotazione di circa un miliardo di euro investa soprattutto nelle aziende meridionali».

Qual è il peso specifico delle attività politiche locali e in che modo possono influire sulle dinamiche delle strategie centrali?

«Negli ultimi dieci anni gli Enti locali hanno subito tagli notevoli da parte dei governi centrali e ciò ha comportato una difficoltà dei Sindaci a operare. È anche vero, però, che le Amministrazioni che hanno attuato la spending review oggi riescono a garantire i servizi alla cittadinanza a differenza degli Enti che non l’hanno applicata».

Sostanziali e rapide trasformazioni culturali e tecnologiche farebbero pensare che in fondo non si stia peggio rispetto al secolo scorso. Eppure, tra la gente si coglie una diffusa sfiducia nel futuro. Come si spiega questa che sembra essere un’apparente contraddizione?

«La sfiducia viene fuori da una crisi economica epocale, mi piace pensare che ci sia in corso una inversione di tendenza. Contestualmente negli gli ultimi anni si è rivoluzionato il modo di comunicare, le nuove tecnologie hanno rivoluzionato tutto. È auspicabile che questi strumenti possano essere a vantaggio di un mondo più veloce, più smart, che possano portare efficienza ed efficacia al sistema economico e dunque un benessere diffuso».

La felicità è un argomento politico e perché?

«La ricchezza di un Paese non si misura solo attraverso il Pil: una comunità felice è il presupposto per migliorare le condizioni di vita. Se è vero che il Sultano del Buthan si preoccupa di misurare il Fil, la Felicità interna lorda, piuttosto che il Pil, invece che guardare all’Europa, a volte, dovremmo guardare a qualche Sultanato».

Peppe Sorrentino

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