(Dis)orientamenti di voto: Il voto di protesta esiste?

Secondo Gianfranco Pasquino e Arturo Parisi esistono tre orientamenti al voto: il voto di appartenenza, che si è palesato quando erano in voga i partiti di massa; il voto di scambio (o clientelare), apparso nella storia come il “favore” reciproco tra i signori notabili e la società civile; il voto d’opinione, secondo gli studiosi il migliore possibile perché prevede una ricerca attenta delle informazioni.

Nel corso degli anni, però, è apparsa anche una quarta inclinazione, secondo cui, i cittadini ricevono l’influenza del carisma (rimandando a Weber, in tal senso, e al volume “Il Partito Personale” di Calise) del leader politico, traghettatore di valori e ideali e miscelatore dei precedenti tre orientamenti: il voto personale.

Il trasformismo politico dell’ultimo ventennio, tuttavia, ha fatto emergere quello che probabilmente un giorno verrà teorizzato come il quinto anello della catena. Il voto di protesta ha molteplici facce: passa dal netto astensionismo (resta il dubbio sulla sua classificazione nella categoria “voto”) alla preferenza del partito reputato “il migliore tra i peggiori”.

Se dovessimo analizzare un case study, si potrebbe partire dal risultato di due tornate elettorali non troppo distanti nel tempo: come, a esempio, le elezioni politiche del 2013 e le europee del 2014.

Nella prima tornata elettorale il partito di Beppe Grillo collezionò un successo tale da far paura ai due blocchi precedentemente in lotta, Pd e Pdl: 25,55% alla Camera contro il 29,13% del partito di Silvio Berlusconi e il 29,59 % del partito guidato da Pier Luigi Bersani; al Senato il 23,79% del Movimento5Stelle contro il 30,66% del Pdl e il 31,60 del Pd. La figura di Matteo Renzi era ancora nell’ombra e il nuovo partito antisistema aveva fatto breccia negli italiani, dichiarandosi né di destra né di sinistra e, quindi, oltre tutte quelle logiche legate alle ideologie che, secondo l’italiano medio, sono state la rovina del paese.

Sebbene fosse un partito antieuropeista, nel maggio del 2014, una nuova tornata elettorale lo vide protagonista: Beppe Grillo dichiarò, addirittura, che una possibile sconfitta avrebbe comportato le sue dimissioni. Con un’affluenza alle urne del 58,68%, dopo la presa di posizione di Matteo Renzi, il Partito Democratico ottenne il 40% delle preferenze contro il 21,2% del M5S e il 17% della resuscitata Forza Italia.

Sara Santoriello

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