NIENTE PIU’ ARANCINI DELLA “CAMMARERA” ADELINA: ADDIO A CAMILLERI E AL PROFUMO DELLA SUA SICILIA

Sarà difficile trovare altro con cui riempire il vuoto lasciato sui ripiani della libreria da Andrea Camilleri. 

Ci sono poche certezze nella vita e una di queste era proprio il poter prendere e riprendere all’infinito i volumi rilegati in cartonato blu della casa editrice Sellerio e scorrere le parole in dialetto che, a ogni pagina, mandavano il profumo della terra di Sicilia, lo “sciauro” del mare profondo, il vento a scompigliare sabbia e capelli, il sapore dei “purpitieddi” cucinati dalla trattoria San Calogero che si “squagliavano in bocca“. 

Morto Camilleri, quelle pagine, non hanno più lo stesso significato, per chi ne ha fatto un uso smodato di lettura, colmando ore e pomeriggi e notti nel frusciare delle pagine e delle storie.

Sembrano come morte anch’esse, ora, sapendo che non ne seguiranno altre. 

Un perdurare all’infinito dato dall’immobilità delle parole fisse su carta che ora assume ancor più il senso della finitezza delle cose. Della staticità. Dell’assenza di vita. 

Quando muore qualcuno, quando un qualcosa finisce, non è nell’immediato che si materializza il lutto e l’assenza. Ma è dopo, negli istanti successivi quando per caso ci si trova a toccare, annusare, sfiorare oggetti e ricordare luoghi, a osservare dettagli impregnati della storia di una vita e che adesso di quella vita, gridano forte la fine. 

Non sempre, a chi scrive questo ricordo,  Camilleri è piaciuto: ci sono stati volumi come “La Vampa D’Agosto” che hanno suscitato emozioni negative, per il ribrezzo, per l’avversione al fuoco e alla morte violenta da esso provocata, o come “il Cane di Terracotta” con la sua descrizione di un amore impedito, proibito, spezzato, ostacolato da relazioni malate. Storie inventate ma talmente reali e vibranti da apparire più vicine alla realtà della realtà stessa. Quasi a superarla, quasi ad anticipare l’orrore e la brutalità del genere umano o semplicemente a sbatterne gli aspetti più crudi nero su bianco. E chi non vuole intendere non ha che da chiudere il libro e rimetterlo, in ordine, sullo scaffale di una qualsiasi libreria a raccogliere la polvere del tempo. 

Camilleri era legato a doppio filo con Maigret e George Simenon, nella sua veste di produttore della seconda rete Rai, all’epoca della messa in onda dello sceneggiato “le inchieste del Commissario Maigret” con l’indimenticabile Gino Cervi nella parte del protagonista e Andreina Pagnani interprete della signora Maigret, in un momento in cui, per stessa ammissione di Camilleri in una vecchia intervista, scrivere romanzi gialli non era nemmeno lontanamente previsto.

Il bello? Immergersi nelle colorate conversazioni fatte di linguaggio sgrammaticato o formale o ironicamente aulico degli scambi epistolari tra ministri, testimoni, luogotenenti dei Reali Carabinieri, alti prelati e semplici popolani, tutti intenti a dissipare il mistero de “La scomparsa di Pato’ “. 

O nelle storie di amore profano de “La pensione Eva”. 

Sono troppo poche queste righe per dire tutto, o anche solo per non trasformare un ricordo in uno dei tanti ricordi, che siano banali o meno, sentiti o no, di uno scrittore che ha restituito al dialetto la dignità di lingua e segno identitario di un luogo, parte integrante della cultura e delle tradizioni, trasformandolo in pagine di letteratura e narrativa. 

Odio e amore: buon viaggio ad Andrea Camilleri, in un modo o nell’altro ha fatto venire il “nirbuso” a tutti. 

Eleonora Marchini

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