In viaggio con Dacia e i mandarini maledetti

I due mandarini ci guardavano dalla scrivania, piccoli, indifesi, sembrava chiedessero aiuto così soli su quel grande tavolo di formica grigia, ma noi non osavamo toccarli, quasi che davvero qualcosa di malefico li avesse impossessati mentre l’agente scriveva il suo verbale, silenzioso. Tutto era cominciato quando la guardia al controllo bagagli era inorridita quando ha visto i due poveri mandarini uscire dal sacchetto di carta che Dacia (Maraini ndr) portava nel bagaglio a mano. «E questi cosa sono?», aveva chiesto in uno spagnolo arrabbiato e lei aveva risposto candidamente «mandarini!».

«Appunto! Non lo sa che non si può fare entrare frutta in Cile?». E da lì è cominciata una storia che per poco non ci ha viste entrare in una triste galera sudamericana.

Col cuore in gola ho seguito Dacia varcare la soglia di una porta dove l’aspettava una specie di tribunale inquisitore. Sono stati dieci minuti di panico, ho persino pensato che non l’avrei più rivista. Poi, lo stesso signore che le aveva scritto il verbale è uscito fuori e con un gesto d’intesa mi ha rassicurata… stava per andarsene e soddisfatto ha detto: «Ha chiesto scusa!».

«Scusa? Ho chiesto perdono», sospirava la mia amica. «Vabbe’, ormai è finita, cerchiamo almeno di non perdere l’aereo». E invece l’abbiamo perso e siamo rimaste quattro ore ad attendere il volo successivo per Santiago.

Come Dio ha voluto, siamo salite sul nostro aereo e abbiamo preso posto, ma per errore ho chiamato la hostess invece di premere il pulsante della luce e non ce ne saremmo nemmeno accorte se non fossero arrivati subito due steward che con aria arcigna hanno chiesto, sempre a lei, povera Dacia: «Insomma, che vuole, perché ha chiamato?».

A quel punto tutte e due ci siamo sentite in trappola… ecco ora ci fanno scendere e ci portano in galera e invece… sono stati buoni, ci hanno lasciate partire…

Certo in questa giornata a Santiago (si, per fortuna sono state solo 24 ore!) siamo state un po’ in tensione, sempre attente a non fare qualcosa che potesse infastidire questi cileni che ci sono apparsi un po’ troppo fiscali, in verità. Gli incontri stabiliti, però, uno in una scuola italiana e l’altro alla radio dell’università, sono andati molto bene, abbiamo visto un pubblico numeroso e interessato alla letteratura italiana al femminile, alla passione sensuale che traspare dagli scritti delle nostre mistiche, alle tante storie di violenza sulle donne che Dacia Maraini ha voluto riscrivere per farle arrivare al pubblico con una intensità e un dolore da scuotere gli animi di tutti.

Il Cile però, per me, rimarrà un ricordo bellissimo per l’altra tappa del nostro viaggio, a Antofagasta, città industriale tra l’oceano pacifico e il deserto di Amataca, dove eravamo ospiti di una fiera del libro dove insieme presentavamo il nostro documentario sulla letteratura al femminile e Dacia i suoi ultimi due libri” L’amore rubato” e “Chiara, elogio della disobbedienza”.

Nel deserto ci sono andata con un grande poeta cileno, perseguitato, torturato da Pinochet, che ha inciso “No pena no miedo” (né dolore né paura) per una lunghezza di chilometri proprio nel mezzo di una valle dove non piove da 400 anni, una scritta che può essere letta solo dall’alto. E, nel silenzio assoluto, sotto un sole feroce, accanto a quest’uomo provato nel corpo, ma con un sorriso dolcissimo, mi sono commossa.

Maria Giustina Laurenzi

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