Sul coraggio intellettuale di Erri De Luca

Sono trascorsi due anni esatti dalle esternazioni registrate su “The Huffington Post” e, all’epilogo del processo avviato ai danni Erri De Luca, il Pubblico Ministero di Torino chiede che sia punito con otto mesi di reclusione perché quanto dichiarato rappresenta apologia di reato. Il Magistrato, a sostegno della tesi d’accusa, sottolinea che quanto affermato è penalmente rilevante poiché riferito da personaggio pubblico e non da uno qualunque.

Se la legge è uguale per tutti, perché si differenzia De Luca da uno qualunque? Può uno qualunque istigare al reato senza pagarne le conseguenze?

Non entro nel giudizio di merito – squisitamente tecnico – ma ho l’impressione che attraverso tale richiesta il “Sistema” marchi il territorio scaricando il dissenso popolare NO TAV di ValSusa in un capro espiatorio. Personalmente sono profondamente convinto che l’aggettivo qualunque sia mortificante per quelle migliaia di famiglie che stanno combattendo una battaglia giusta e legittima: La TAV in ValSusa è inutile e pericolosa, fatto oggettivamente dimostrato da eminenti “non qualunque”.

Erri De Luca paga quindi per il suo coraggio intellettuale, un evento ormai raro nelle dinamiche torbide dell’ultimo “-ennio”.

Lo abbiamo sottolineato venti giorni fa nel nostro articolo “Intellettuali e Vigliaccheria”, lo ribadisce oggi Roberto Saviano, quando lamenta l’indifferenza di scrittori e poeti di fronte a tale accadimento e, aggiungo io, non credo che buttarla sul tentativo pindarico di spiegare l’etimologia del verbo sabotare abbia un senso.

Noi di Polis SA non possiamo fare altro che sostenere la questione fondamentale del diritto costituzionale di esprimere una opinione, coerentemente al nostro pensiero e alle nostre attività sociali.

Ci lascia sconcerti il giudizio sommario su un Erri De Luca ritratto come un terrorista.

Chi legge i suoi scritti lo sa, ma per chi non abbia avuto tale esperienza, proponiamo uno stralcio della sua pacata concretezza riproponendovi quattro risposte ad altrettante domande, estrapolate da un’intervista pubblicata lo scorso luglio sul nostro magazine per la rubrica “Pensieri Contemporanei”:

A suo giudizio, cos’è e quanto conta la credibilità in politica?

«Se intesa come onestà e rispetto delle regole, conta più della linea politica e delle bandiere».

Se è vero che la fiducia nelle istituzioni abbia toccato il fondo a quali rischi si espone il Paese?

«Le istituzioni da noi non hanno mai goduto di sincero rispetto. Mi preoccuperebbe di più il discredito della cellula famiglia, che invece tiene ancora bene e offre resistenza alle crisi».

Qual è il peso specifico delle attività politiche locali e in che modo possono influire sulle dinamiche delle strategie centrali?

«Bisogna scegliere cosa sia strategico. Per l’Italia non è certo strategico un altro tunnel Torino-Lione, che risparmierebbe meno di un’ora e con la linea esistente che viaggia vuota. Strategico è il nostro patrimonio culturale che è maggioranza di tutto quello detenuto al mondo. Strategico è il suolo e le sue risorse agricole: il nostro prodotto di maggiore esportazione è il vino. È strategico il paesaggio con le sue attrazioni turistiche. Stabilito che il ministero più dotato debba essere quello dell’agricoltura, della cultura, del turismo e non quello della difesa, il resto verrebbe da sé».

La felicità laica è un argomento politico e perché?

«La felicità non si abbina a aggettivi, esiste o manca, laica o confessionale, monarchica o repubblicana. Nella Costituzione Americana la felicità è un diritto. Credo di più a un poeta che ha scritto “La felicità è un dovere”».

Per ciò che ci riguarda, seguiamo con attenzione gli sviluppi del processo, sostenendo sempre le ragioni dell’intelletto.

Francesco Paciello

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