Roma e il dopo Marino

Redazione Lazio – A due mesi circa dalle dimissioni di Ignazio Marino e il successivo arrivo del Prefetto Tronca, temporaneamente guida di Roma Capitale, i riflettori sulla realtà della nostra capitale sembrano essersi spenti.

Marino di certo non è stato un primo cittadino simpatico ai molti; è andato contro corrente, ha tagliato molti sprechi, ma ha anche finto di non vedere tante cose che non andavano e che ci facevano apparire all’estero come in balia delle onde.

Ma ora che è stato trovato, e fatto fuori il capro espiatorio, i riflettori su Roma si sono spenti. Nessuno più fa caso ai cumuli di spazzatura che attanagliano sia il centro che le periferie, alle voragini onnipresenti sull’asfalto capitolino, al problema dei roghi tossici sprigionati dai campi rom – in crescita esponenziale – in ogni angolo della città, ai mezzi pubblici che viaggiano ormai con ritardi cronici che altro che capitale europea. Non da ultimo, il problema avuto con il guano, dopo le prime piogge, nella zona lungotevere, battuta in lungo e in largo da frotte di turisti.

Roma con e senza Marino resta sempre lo stesso grande carrozzone con i suoi problemi, con i dipendenti comunali che scioperano in nome di diritti e patti firmati senza la loro approvazione, con le lunghe file per sbrigare pratiche burocratiche, con le guide turistiche che scioperano per convenzioni non rinnovate, con i servizi sociali messi spalle al muro per via dei tagli al bilancio. Ma viene da domandarsi perché ora non fa più scalpore, perché i media non ne parlano più?

Si avvicina il momento delle nuove elezioni, della candidatura ufficiale di volti nuovi e vecchi della realtà romana che a breve inizieranno a battagliare per un posto su una poltrona già rovente, e non resta che augurarsi e sperare che chi sarà eletto riesca a fare qualcosa in più del suo predecessore.

Ormai viene da dire “ci si accontenta quasi di un minimo sindacale”, oppure no? Anche se si tratta più di sapersi accontentare, che accontentarsi, il che è ben diverso.

Maria Grazia Mele

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