Un approccio alla Questione Meridionale

È indiscutibile che ancor oggi vi sia in Italia un divario Nord-Sud. Esso ha una peculiarità tale per cui, con tutti gli studi e le politiche relative, è stato etichettato come “questione meridionale”. Questione con due caratteristiche essenziali: la durata e la natura.

La durata dall’unità ai giorni nostri (e chissà per quanto tempo ancora) non ha paragoni nel mondo occidentale. Occorrerebbe riflettere di più sul fatto che, dall’Unità fino al secondo dopoguerra, solo il “triangolo industriale” (Milano, Torino, Genova) progrediva adeguatamente; il resto dell’Italia arrancava. Successivamente, il Nord-Est-Centro (il cosiddetto NEC) ha colmato il ritardo, mentre il solo Sud è rimasto indietro.

Per quanto riguarda la natura del divario, essa non è solo economica, ma anche sociale e, quindi, politica e culturale. In un mio articolo sul rapporto lettura/Pil del 2012 – e non credo che le cose siano sostanzialmente mutate – scrivevo “Un raffronto fra le regioni italiane (dati ISTAT 2012) conferma l’ipotesi. La regione italiana con il Pil pro capite più alto (30.843 euro) è la Valle d’Aosta dove il 55,2% degli abitanti legge almeno un libro all’anno. La Calabria, ultima nella classifica del Pil (14.383), ha una percentuale di lettori del 29,3%. La Campania si posiziona al penultimo posto sia per il Pil (14.422) sia per la percentuale di lettori 28,9%. Sono dati molto negativi vista, anche, la soglia molto bassa di un libro all’anno”.

Insomma, i sintomi sono molteplici e la diagnosi complessa. Ancor più difficile individuare, con risorse sempre limitate, le terapie. Con questo scritto non ho la pretesa di avventurarmi su un terreno a dir poco minato; piuttosto, vorrei descrivere quali dovrebbero essere, a mio avviso, alcuni punti fermi di qualsiasi approccio alla questione.

Punto primo. Il Meridione da solo non ce la fa, necessita dell’impegno del Governo centrale e dell’Europa.

Punto secondo. Sia per stimolare (e meritare) l’impegno citato al punto precedente che per ottenere progressi duraturi ci dev’essere una forte spinta endogena allo sviluppo, quindi capacità progettuali e impegno serio delle istituzioni e delle popolazioni meridionali.

Terzo punto. I meridionali devono essere capaci di sviluppare energie positive che aggreghino, che stimolino la cooperazione (al Sud è tanto carente) e abbandonare deleteri localismi.

Non mi è difficile trovare consenso sui tre punti citati: il problema è che spesso tutto si basa, seppure in buona fede, su un’adesione superficiale.

Infatti, trovo difficile spiegarmi come conciliare l’atteggiamento progressista che i tre punti presuppongono con quelli osservati nella realtà.

Penso a una certa retrotopia (Zygmunt Bauman), un’utopia che guarda e mitizza un passato per sfuggire a un presente che non ci piace. E, quindi, via alle iniziative per la “Grande Lucania”, il “Principato di Arechi”, a manifestazioni neo-borboniche… Inseguendo queste fole rassicuranti che non sollecitano il nostro impegno e rassicurano la nostra coscienza, trascuriamo opportunità difficili ma concrete.

Ancora, qual è lo sguardo che ci consente di trovare nella storia spunti utili per agire nel presente e per il futuro partendo da salde basi? La scelta è ampia. Numerosi gli studiosi, che indagando sul nostro passato, hanno rivolto la loro attenzione al Mezzogiorno: Pasquale Saraceno, Paolo Sylos Labini, Luciano Cafagna, Rosario Romeo, Salvatore Lupo, Francesco Barbagallo… Invece no, si preferiscono le suggestioni dei non-storici che, estraendo da un processo complesso dei singoli episodi, li enfatizzano, li deformano e li caricano di un tale significato che portano a estendere il giudizio su un singolo fatto all’intero processo.

Un caso famoso è quello del forte di Fenestrelle e dei prigionieri dei Savoia che ha dato luogo a strumentalizzazioni e falsificazioni che hanno parlato di lager e stragi; notizie che hanno una vasta eco e che studi seri e documentati stentano a sopire.

Insomma, un pseudo-revisionismo che lucra sul nostro scontento, giustificandolo con un passato strumentalizzato. Esso, tra l’altro, alimenta ed è alimentato da atteggiamenti divisivi. E allora gli abitanti del Comune X tengono a distinguersi dai loro vicini: i siciliani dai napoletani; i padani dai terroni; i Greci potrebbero non volere rapporti con noi poiché rammentano che gli volevamo spezzare le reni; i francesi ricorderanno la pugnalata alle spalle e via rimestando. Non se ne esce più! Qui non si tratta di nascondere nulla, ma di guardare la storia nel suo evolversi e allora nessuno è totalmente innocente.

Il nostro passato, come il passato di qualunque Paese, non è avulso da errori, violenze e ingiustizie; ma vi è stato soprattutto il sudore dei più, il sangue di tanti, il lavorio di coloro che – disinteressatamente – hanno compiuto scelte giuste e coraggiose. Tanti problemi rimangono, tantissimi sono stati affrontati e risolti da chi ci ha preceduto.

Da tempo è venuto il momento di porre alla nostra attenzione la questione meridionale, guardando al futuro. Ci saranno, ovviamente, opinioni diverse su come raggiungere un sufficiente benessere: occorre discuterne. È scontato che il dialogo divenga impossibile con chi dissente su concetti di fondo come il valore positivo dell’unità italiana o intenda attardarsi in sterili atteggiamenti divisivi e di rivalsa.

Massimo Calise

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