Un “Personal coach” per i rom della capitale

Che ci vogliano idee innovative e progetti coraggiosi per lanciare iniziative commerciali di successo è risaputo. Che per coltivare tali idee e progetti ci vogliano laboratori fecondi dove possano germogliare, anche. Ma che per avere maggiori percentuali di riuscita ci vogliano attività di “mentoring and personal coaches” in grado di “aiutare gli ideatori a fare le scelte giuste in ordine ai processi lavorativi e strategico finanziari” è quantomeno singolare. Anche perché chi lo suggerisce non è un santone che fa psicologia spicciola, ma nientedimeno che il Comune di Roma, attraverso il Dipartimento Politiche Sociali, Sussidiarietà e Salute, e in particolare l’Ufficio Rom, Sinti e Caminanti.

È tutto scritto nel “Progetto di inclusione sociale per le persone rom, sinti e caminanti finalizzato al superamento dei campi rom la barbuta e la monachina” di Roma. In sostanza, si vuole tentare di far venir fuori quanto di buono c’è nelle comunità che popolano le nostre periferie, offrendo gli strumenti e creando le occasioni affinché ciò sia possibile. Attraverso il “mentoring”, e non solo, verranno prodotti piani individuali per la realizzazione di business plan per lo sviluppo delle attività selezionate e una analisi delle opportunità di mercato dell’attività economica individuata. Saranno poi organizzati corsi di formazione finalizzati alla creazione e la conduzione di piccole realtà imprenditoriali di livello locale.

Si tratta sicuramente di un progetto ambizioso e ricco di incognite, perché attualmente Roma conta circa 4500 persone rom, sparse nei vari insediamenti autorizzati. Queste popolazioni sono prevalentemente di nazionalità rumena, montenegrina, kosovara. Per non parlare degli insediamenti abusivi, sorti sulle sponde dei fiumi in condizioni di precarietà, provvisorietà e degrado, dove le stime si perdono nell’anonimato di chi vi abita.

Creare queste opportunità deve però avere come presupposto la risoluzione a monte dei problemi più quotidiani e urgenti: primo fra tutti la mancanza dei servizi igienici più elementari. Senza trascurare la sensazione di abbandono che avvertono gli abitanti dei quartieri in cui questi insediamenti sono inseriti. Perché tentare di includere socialmente le popolazioni rom senza coinvolgere i residenti delle zone limitrofe in un progetto comune rischia di far diventare esplosivo un argomento già di per sé incandescente. Anche perché chi lo va a dire ai nostri ragazzi che finiscono l’università e si ritrovano ad accettare qualsiasi tipo di lavoro pur di non pesare più sulle spalle di mamma e papà e cominciare a guadagnare in proprio? Per loro i “personal coaches” dove sono? A malapena possono permettersi i “personal trainer” in palestra…

Domenico Flore

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