Omicidio Marcello Torre: manca ancora verità politica. L’Agro resta una polveriera?

«Carissimi, ho intrapreso una battaglia politica assai difficile. Temo per la mia vita… Torno nella lotta soltanto per un nuovo progetto di vita a Pagani. Non ho alcun interesse personale. Sogno una Pagani civile e libera. Ponete a disposizione degli inquirenti tutto il mio studio. Non ho niente da nascondere”.

Con queste parole, Marcello Torre, sindaco di Pagani (piccola città campana, a cavallo tra napoletano e salernitano), firmava il suo testamento morale e civile. Lo scrive durante la campagna elettorale che lo vedrà vincente, alcuni mesi prima del tragico terremoto che segnò la vita di migliaia di persone nel novembre 1980. Torre presagiva un destino difficile per il suo mandato elettorale. Sono gli anni delle guerre di mafia, degli attentati. Le infiltrazioni camorristiche nel mondo imprenditoriale e politico sono evidenti. Quando il sisma devasta i territori della Campania, la camorra entra negli appalti della ricostruzione. È qui che si compie il destino del sindaco paganese, assassinato per essersi opposto allo scempio.

Noto avvocato ed esponente di spicco della Democrazia Cristiana, Marcello Torre venne assassinato l’11 dicembre 1980, poche settimane dopo il terremoto. La storia giudiziaria parla di un mandante, Raffaele Cutolo. Ma la verità politica non è ancora stata accertata e la vicenda del suo assassinio continua ad avere lacune pesanti. A far luce, il documentario Rai intitolato “Seduto su una polveriera – Storia di Marcello Torre“, di Alessandro Chiappetta, per la regia di Alessandra Bruno.

L’opera è stata proiettata a Castel San Giorgio (Sa), nell’aula consiliare, con la presentazione di Giuseppe De Caro (giornalista Rai e referente Libera per Castel San Giorgio), insieme ad Anna Garofalo (referente provincia di Salerno dell’associazione Libera) e Annamaria Torre (figlia di Marcello Torre). Il documentario, attraverso le testimonianze di personaggi come il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, gli storici Isaia Sales e Marcello Ravveduto, i giornalisti Luigi Di Fiore, Rocco Di Blasi, Fabrizio Feo, e della stessa figlia di Torre, cerca di ricostruire la vita professionale, politica e privata del “sindaco gentile” (come lo chiama Marcello Ravveduto nel suo libro, “Il sindaco gentile. Gli appalti, la camorra e un uomo onesto. La storia di Marcello Torre”).

Abbiamo intervistato tre protagonisti della serata, a Castel San Giorgio, disegnando un piccolo tracciato della vicenda. I ricordi, le speranze, i pericoli del passato e del nostro presente. Perché, come dirà Anna Garofalo, forse l’Agro nocerino-sarnese (specchio di questa nostra Italia) è ancora seduto su una polveriera… silente.

INTERVISTA AD ANNA GAROFALO

Anna, perché questo documentario?

«È stato fortemente voluto da Franco Roberti, che ha mostrato il suo interesse per fare in modo che la storia di Marcello Torre diventasse patrimonio di tutti. “Seduto su una polveriera”, per noi significa molto. Riteniamo che la vicenda di Marcello non sia una storia chiusa. Una vicenda che ancora non ha avuto chiarezza. La questione della sua morte ha delle implicazioni politiche, così come si evince dal documentario. Marcello scrive una lettera prima del terremoto, in cui anticipa che teme per la sua vita e che è stato esposto a un sacrificio politico. Prevedeva dunque la possibilità di un pericolo per ciò che riguardava il ruolo politico che aveva deciso di accettare in quegli anni. La sua famiglia e noi di Libera chiediamo verità».

L’Agro, oggi, è ancora una polveriera?

«Penso di sì. Evidentemente è cambiata la forma in cui il rischio si presenta. Ma le vicende dell’Agro, i comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche, le questioni che hanno riguardato Pagani, Scafati, Nocera, sono l’evidente segnale che nell’Agro nocerino-sarnese, e non solo, la questione politica-corruzione-mafia sia ancora forte e ha assunto trasformazioni rispetto al passato. Non nascondiamo la pericolosità di un sistema diventato pervasivo e difficile da scoprire, a volte insito nella normalità dei nostri territori. La polveriera è proprio questo. La percezione del pericolo che tutti i giorni viviamo, di una criminalità, di un malaffare che ha intrecci politici e soffoca la cultura della partecipazione civile e democratica delle nostre città».

INTERVISTA AD ANNAMARIA TORRE

Chi era Marcello Torre?

«Un papà, un uomo giusto, un uomo che aveva dei valori. Amava la sua terra, questo era per me Marcello Torre. Della sua figura ho un concetto di figlia, di adolescente. Ricordo il padre che faceva l’avvocato e cercava di essere quanto più presente in famiglia. Era una persona che quando entrava in casa cercava di tenerci ovattati. Ricordo il suo trascorso sportivo quando fu presidente della Paganese, con i suoi momenti goliardici. Ricordo il bello di quel decennio in cui non ha fatto politica».

La giustizia italiana ha fatto tutto il possibile per chiarire l’agguato?

«Quello che è emerso, a oggi, è solo la punta dell’iceberg. Le motivazioni della morte di mio padre sono ancora da scoprire e non so se prima o poi verranno scoperte. Abbiamo avuto una giustizia a metà. La verità non la conosciamo e anche se c’era un filone che andava perseguito, tuttavia, non è stato mai davvero approfondito. La giustizia italiana a tempo debito poteva fare di più. Abbiamo una verità storica che non collima con quella processuale».

Cosa direbbe a suo padre?

«Grazie, perché io sono fiera di essere sua figlia. Arrabbiata, all’inizio. Ma posso camminare a testa alta».

Cosa ricorda degli istanti dell’omicidio?

«La nostra casa era stata lesionata dal terremoto e in quei giorni abitavamo tra Sant’Egidio e Pagani. Ho sentito gli spari. Ho visto papà riverso, ho avuto un blackout e ci sono voluti mesi per riprendermi. Alcune scene del docufilm mi hanno riportato a ricordare. Posso dire anche grazie al lavoro di Marcello Ravveduto che ha scritto quel libro, attraverso il quale ho potuto conoscere davvero mio padre. Ero un’adolescente all’epoca, ma ne ho ricostruito la vita, con questa mia ricerca, attraverso i suoi amici».

INTERVISTA A GIUSEPPE DE CARO

Qual è il valore del documentario?

«Era un’opera assolutamente necessaria, per una questione di memoria e per ricordare questo sindaco che ha sacrificato la propria vita, nonostante fosse conscio che l’avrebbero assassinato. Un uomo onesto, un sindaco gentile. Un documentario importante, un’opera scrupolosa, che lascia anche un punto interrogativo sulla verità politica della morte di Marcello Torre. Libera chiede sia fatta luce».

I giornalisti dell’epoca come hanno raccontato questa vicenda?

«Posso dire che dopo la morte di Torre ci furono articoli che legarono il suo omicidio al fatto che fosse difensore di diversi esponenti di clan della criminalità organizzata. In quel caso, non fu fatto bene il nostro lavoro di cronisti, perché è stata fornita una verità fasulla, lontana da quella effettiva. L’avvocato faceva il suo dovere e tra i suoi clienti c’erano anche camorristi. Era il più importante avvocato della provincia di Salerno. Giornalisticamente parlando, ci furono articoli pesanti, che fecero male ai suoi familiari. Ma lui faceva solo il suo lavoro, senza risparmiare neanche critiche severe a queste persone e senza mai essere coinvolto nei loro affari».

Davide Speranza

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