La Repubblica Catalana è la storia di un Paese mai nato

La dichiarazione unilaterale di indipendenza del 27 ottobre non ha avuto alcun effetto concreto e la Repubblica resta un sogno nel cassetto per molti catalani.

La crisi territoriale spagnola non accenna a placarsi dopo l’approvazione, da parte del Parlamento catalano lo scorso 27 ottobre, della dichiarazione unilaterale di indipendenza (DUI), immediatamente seguita dall’attivazione dell’art. 155 della Costituzione, dal commissariamento della Comunità Autonoma da parte delle autorità centrali e dalla convocazione di nuove elezioni regionali per il 21 dicembre.

Cos’è dunque, oggi, la Catalogna?

Per il diritto internazionale, uno Stato è un ente giuridico composto di tre elementi: un territorio delimitato, una popolazione stanziata su di esso e un ordinamento giuridico-politico che ne regola l’esistenza. Detto altrimenti, uno Stato è tale se esercita la sovranità effettiva su di un territorio e sulla sua popolazione. Il riconoscimento è un atto politico con cui uno Stato riconosce un altro ente quale soggetto di diritto internazionale dotato di sovranità. Non è un atto costitutivo della personalità giuridica di uno Stato, bensì un atto dichiarativo. Ciò significa che uno Stato è tale de facto anche se non riconosciuto da altri, purché goda dei tre elementi sopra menzionati. Il riconoscimento è invece un requisito fondamentale per stabilire relazioni diplomatiche e quindi, tra le altre cose, firmare trattati, aprire ambasciate o aderire a organizzazioni internazionali.

La DUI catalana non è stata seguita da alcun riconoscimento da parte della società internazionale che, anzi, si è affrettata a negarne la validità. Innanzi tutto, dunque, si può affermare che la Catalogna non è uno Stato indipendente riconosciuto. Ma non è neppure uno Stato de facto, in quanto non esiste alcun governo catalano che eserciti un controllo effettivo, indipendente e sovrano sul territorio. Lo stesso presidente, ormai destituito, Carles Puigdemont, si è affrettato a lasciare la Catalogna rifugiandosi a Bruxelles, mentre il Governo spagnolo assumeva il controllo delle istituzioni regionali.

Intanto, la giustizia spagnola ha proceduto all’arresto dell’ex vicepresidente Oriol Junqueras, e di altri otto consiglieri, imputati per ribellione, sedizione e malversazione. Il magistrato ne ha disposto l’arresto in via cautelare, considerando il pericolo di fuga e il rischio di distruzione di prove. A uno dei consiglieri, Santi Vila, è stato concesso di uscire dal carcere dietro il pagamento di una cauzione di 50.000€, per essersi dimesso dal Governo prima della DUI. Puigdemont e altri tre consiglieri, trovandosi in Belgio, sono per ora sfuggiti alla giustizia ma sarebbe pronto per loro un mandato d’arresto europeo (previsto dalla disciplina comunitaria), al quale potrebbe seguire l’estradizione. Appare infatti molto improbabile che Puigdemont possa ottenere, qualora lo chiedesse, l’asilo territoriale: si tratta di una pratica ormai in disuso in Europa e riservata a casi di persecuzione politica. Riconoscere asilo a Puigdemont, che non è esattamente un perseguitato politico bensì indagato per reati previsti dal codice penale spagnolo, aprirebbe una controversia tra Bruxelles e Madrid.

Davanti a una situazione del genere è evidente che, nonostante la dichiarazione di indipendenza, la Catalogna resta a tutti gli effetti parte integrante del Regno di Spagna, de iure e de facto.

Diamo uno sguardo ai tre reati contestati:

1. Ribellione. Secondo l’art. 472 del Codice Penale spagnolo è colpevole di ribellione colui che violentemente e pubblicamente operi per dichiarare l’indipendenza di una parte del territorio nazionale, derogare, sospendere o modificare totalmente o parzialmente la Costituzione, o destituire il Re. Rientrano nel reato, punibile con una condanna da 5 a 30 anni, anche i tentativi di “sostituire il Governo della Nazione o il Governo di una Comunità Autonoma con un altro”, così come “privare i membri del Governo delle loro facoltà o impedirne il libero esercizio, o obbligarli a eseguire atti contrari alla loro volontà”.

2. Sedizione. Secondo l’art. 544 del Codice Penale sono colpevoli di sedizione coloro che operano impedire, con la forza o al di fuori delle vie legali, l’applicazione delle Leggi o impedire a qualsiasi autorità o funzionario pubblico il legittimo esercizio delle proprie funzioni o il compimento delle risoluzioni amministrative o giudiziarie”. Il reato è punito con una pena da 4 a 15 anni di carcere.

3. Malversazione. Prevista dagli articoli 252 e 253 del Codice penale, la malversazione consiste nell’amministrazione sleale degli incarichi pubblici e nell’appropriazione indebita di denaro o beni pubblici da parte di un funzionario. È punita con il carcere da 1 a 8 anni.

Alle pene detentive va aggiunta l’inabilitazione per un periodo stabilito.

Luca Cataldi

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