Ritrovarsi, storia di guerra e di identità

Sulla illustre tradizione letteraria del romanzo di formazione del dopoguerra, Raffaele Messina, italianista, docente e critico letterario, a fine duemiladiciotto ha dato alle stampe, per l’Editore Guida, la sua ultima opera, “Mancarsi”. I

l romanzo, scritto con uno stile elegante, posato ed incalzante, conduce il lettore tra due contesti storici differenti ma allo stesso tempo strettamente uniti fra di loro: gli anni ruggenti della seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra. Il protagonista Francesco Nastasi, figlio del comandante della stazione dei Carabinieri Reali di Capri e la sua fidanzata Patrizia Levi, di origini ebraiche  sono per lasciare l’isola insieme alla famiglia in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Il viaggio da un momento di disperazione muta in una terribile ma necessaria occasione di trasformazione interiore e di maturità. Vedendo con i propri occhi gli orrori della guerra e constatando l’irrazionalità di certe scelte militari e la completa veridicità della vuota propaganda retorica, il giovane Francesco vive sulla sua pelle le ferite e le angosce di un popolo che subisce gli eventi ma il cui riscatto non tarderà ad arrivare prepotentemente.

“Ritrovarsi”, oltre che un romanzo storico, si presenta come una lucida testimonianza della condizione umana e psicologica dell’autentico, eterno protagonista di tutte le guerre:il popolo.

“Mancarsi” fa venire in mente “La notte di San Lorenzo”, capolavoro dei Fratelli Taviani, vincitore del Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1982. Nell’opera autobiografica di Paolo e Vittorio, la concezione localistica degli eventi storici rappresentati come Microcosmo rispetto ai dinamici eventi nazionali,  avvenuti e narrati nella finzione nel paese di San Martino, nella realtà San Miniato, vengono raccontati tenendo conto delle impressioni, sensazioni e sentimenti comune del popolo.

Con quale stato d’animo Lei ha concepito l’idea di scrivere storie e, in particolare, il romanzo “Ritrovarsi” pubblicato da Guida editori?

-«Vorrei poter rispondere che è stata la ‘passione’ lo stato d’animo dominante, così come vuole un consolidato cliché romantico che raffigura il narratore animato da incontenibile fiamma interiore. E, invece, devo dire che è stata la crisi economica del 2009 a spingermi verso la produzione narrativa. Prima praticavo altre forme di scrittura, prevalentemente manualistica o saggistica, legate alle mie attività di autore di testi scolastici e di docente universitario. Poi è arrivata la crisi: l’Università degli Studi di Salerno non mi ha più rinnovato i contratti d’insegnamento; la casa editrice Loffredo è fallita dopo cento anni di gloriosa attività editoriale.          È stato allora che mi sono ritrovato con tanto tempo libero e una scelta da fare: cedere alla depressione o inventarmi un’altra identità. Così sono passato dall’analisi delle opere altrui alla produzione in prima persona di racconti e romanzi.»

Ritrovarsi” è soprattutto il ritrovarsi di una città. Nel momento del dolore trova la forza del riscatto e della riscossa. Può raccontare la lunga agonia e la gloriosa epopea di una città come Napoli, centrale nell’economia del romanzo?

«Dovrei ripercorrere quasi l’intero libro… In estrema sintesi, “Ritrovarsi” è un romanzo di formazione che racconta la giovinezza di Francesco: il suo primo amore, impulso vitale che permane nonostante la guerra; il conflitto con il padre, maresciallo dei Reali Carabinieri. E sullo sfondo Capri e Napoli negli anni delleleggi razziali e della Seconda guerra mondiale. L’epopea di una città prima illusa dalla propaganda di regime, che la voleva porto

dell’Impero; poi piegata da oltre cento bombardamenti alleati, che, per quanto di ‘precisione’, hanno fatto danni e vittime anche tra la popolazione civile; infine, umiliata dalla feroce occupazione delle truppe naziste, che avevano ricevuto l’ordine di spremerne all’osso le risorse, anche umane, e poi di farne terra bruciata. Una città straordinaria, che reagisce, prima in Europa, con una rivolta popolare tesa a proteggere le infrastrutture urbane e a salvare i propri figli dalla deportazione in Germania. Insomma, ho voluto raccontare una Napoli in guerra diversa da quella appiattita sul cliché del degrado morale, della prostituzione di donne e bambini. Artefice invece della prima grande rivolta contro i reparti della Wehrmacht.»

 I temi al centro del romanzo raccontano le diverse sfaccettature della personalità dei protagonisti. Vi è un tema            a Lei caro che rispecchia anche uno stato sia della società attuale oltre che il periodo storico in cui è ambientata la vicenda?

«Oggi, in tempi di ‘amore liquido’ dominante, ho voluto raccontare la storia di un amore solido, che resiste a otto anni di distanza, di assenza di notizie, alimentato solo dal ricordo della promessa fatta a una ragazzina mano nella mano. Inoltre, in riferimento al conflitto

padre-figlio, ho raccontato una storia in cui le parole contano e i giudizi affrettati sulle persone, persino sui propri genitori (fascista/antifascista), si devono misurare con una più ponderata valutazione delle ragioni dell’altro e soprattutto sui suoi reali

comportamenti.

Qual è l’autentico messaggio che vuole consegnare con questo libro? Un invito alla conoscenza storica o un messaggio di costume?

«Non credo che i molteplici piani di lettura del romanzo siano in conflitto tra loro e si escludano l’un l’altro. Mi piacerebbe che venissero colti tutti dal lettore. Anzi, ne suggerisco un quarto: il rapporto tra la borghesia intellettuale napoletana e la plebe urbana. Le ‘Quattro giornate’ del 1943 sono l’unico caso di rivolta popolarein cui gl’interessi delle due componenti sociali convergono. Ma si tratta di un’alleanza che dura poco: nell’ultimo capitolo del mio romanzo racconto l’assalto della folla monarchica alla sede del PCI, dove, dopo il referendum del 2 Giugno, i militanti comunisti esposero la bandiera tricolore senza le stemma sabaudo: nove mortie una cinquantina di feriti. Insomma, un tragico preludio del trionfodella Napoli laurina, che ricorda molto la frattura tra intellettuali e plebe sanfedista nella sconfitta della Repubblica partenopea del 1799. »

Stefano Pignataro

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