Election day

Referendum costituzionale: Italia alle urne, le ragioni del sì e le ragioni del no

Grande responsabilità per il popolo italiano: il 20 e il 21 settembre è chiamato ad esprimersi sul Referendum costituzionale che propone di modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Scopo della consultazione è approvare o meno la riduzione del numero dei parlamentari, da 630 a 400 alla Camera dei Deputati e da 315 a 200 al Senato.

Ecco il quesito al quale gli italiani sono chiamati a rispondere il 20 e il 21 settembre, una due giorni per decidere la sorte degli organi legislativi dello stato italiano.

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 19 ottobre?

In parole povere: “Volete voi cittadini italiani ridurre il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200?

Più che un referendum sembra una svendita in saldi. Il vero problema è se i cittadini posseggano o meno il giusto grado di informazione o se a prevalere sarà la confusione mediatica e la propaganda politica. Nella stessa tornata elettorale sette regioni sono chiamate al voto e il referendum   è diventato strumento di propaganda politica.

In tutti i casi siamo dinnanzi ad un Referendum confermativo (non sarà necessario il raggiungimento del quorum). È atto di coscienza e consapevolezza di ogni singolo cittadino recarsi alle urne e votare. Decidere di astenersi significherebbe semplicemente lasciare che altri decidano per noi.

Valutiamo ora, in sintesi, le ragioni del sì, illustrate da Ciccio Capozzi, esperto di cinema e comunicazione e docente, e le ragioni del no, illustrate dalla redazione.

Le ragioni del no in 6 punti

Per poter comprendere le ragioni del No ci affidiamo alla voce di esperti del settore. Quello che può sembrare un semplice taglio di poltrone è in realtà un “cambio profondo della natura e del funzionamento dei due organismi che sono il massimo dell’espressione della sovranità di questo Paese” – sostiene Giovanni Maria Flick[1], giurista, politico e accademico italiano. Per garantire un funzionamento nel taglio del numero dei parlamentari sarebbe stata necessaria la riforma elettorale. Un sistema elettorale, infatti, ideato per un certo numero di rappresentanti rischia di andare in crisi se si “taglia un pezzo senza aggiungerne o aggiustare un altro”. Tale concetto è palesemente espresso da comitato del No e pubblicato dai politologi Piero Ignazi,  Luciano Bardi e  Oreste Massari sulla Repubblica. [2]

Altro punto saliente sul quale si è discusso a lungo è la qualità dei parlamentari piuttosto che sul numero. Il vulnus, dunque, sarebbe nella selezione dei deputati e dei senatori, non sulla quantità di seggi. Come facciamo ad essere coscienti e consapevoli che le persone che eleggiamo abbiano gli strumenti giusti per poter rappresentare la sovranità popolare?

Terzo punto è quello del risparmio sul bilancio pubblico, tema sul quale il M5Stelle sta facendo molta leva. In caso di vincita del sì, il risparmio stimato dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani è di 57 milioni di euro l’anno, ovvero lo 0,007% della spesa pubblica. “Siamo dinnanzi alla suggestione del risparmio” – afferma Paolo Niccolò Giubelli di + Europa, del Comitato del No di Ferrara.

Quarto e quinto punto vanno a braccetto: il problema della rappresentanza e dei costi delle future campagne elettorali. Creare collegi più grandi rischia di far scomparire la presenza in Parlamento dei partiti minoritari e dei loro corrispettivi elettori. I partiti maggioritari e più forti a livello economico saranno anche quelli più rappresentati, creando una disparità fra eletti ed elettori. Allo stesso modo le regioni più piccole, rischiano di essere scarsamente rappresentate, come ad esempio la Basilicata, la quale ha addirittura chiesto lo “Stop al Referendum”. “Una lesione grave della rappresentatività parlamentare costituzionalmente riconosciuta alla regione”,  questi i motivi per cui la Basilicata ha depositato la richiesta di stop presso la Corte Costituzionale.

La sesta ed ultima criticità è collegata al sistema proporzionale: riguarda il numero dei delegati regionali che partecipano all’elezione del Capo dello Stato. Attualmente su un totale di 1000 parlamentari sono previsti 60 delegati regionali; se il numero dei parlamentari fosse ridotto a 600, i delegati regionali diventerebbero 36.

Effettuare questo taglio al parlamento, sarebbe, dunque, come amputare drasticamente un arto.

Le ragioni del Sì

Il Referendum confermativo del Settembre 2020, in realtà, giunge a compimento di una stagione di trasformazioni della nostra Costituzione, la questione del numero dei Parlamentari è storia della nostra Carta fondamentale. Già i Costituenti dibatterono perché fosse 600 il numero complessivo dei Parlamentari (Deputati più Senatori); le varie commissioni bicamerali (Bozzi, D’Alema, ecc) e il progetto di Renzi, poi bocciato dal Referendum confermativo, prevedevano la stessa soluzione.

Quali sono le ragioni del Sì?

Schematicamente si possono raggruppare in un doppio ordine di considerazioni.
Si sveltisce il lavoro del Parlamento, rendendolo meno farraginoso e inutilmente complicato. Tenendo conto che il lavoro di preparazione dei progetti di Legge, quelli che vanno in Parlamento, è predisposto in gran parte dalle specifiche Commissioni parlamentari (composte da un numero ristretto di Parlamentari esperti nelle varie materie) che poi lo presentano in Parlamento per il voto finale, salvo diverse strutturazioni (le Leggi Quadro ad es.). Quindi i parlamentari hanno un ruolo di verifica e controllo. La riduzione numerica renderebbe quest’organo più mirato, efficace e incisivo.
Per la questione del risparmio dei soldi: non si tratta di miliardi all’anno,  ma sono sempre centinaia di milioni.

Poi c’è un secondo ordine è quello che riguarda complessivamente la questione del rapporto dei cittadini con la politica, non a caso si parla di Casta. È incontrovertibile che i nostri Parlamentari hanno trasformato una serie di garanzie costituzionali in odiosi privilegi. Primo tra tutti l’immunità parlamentare, prevista per accuse rivolte al loro operato politico, che è diventato uno strumento protettivo anche per malefatte comuni. Poi c’è la questione dell’esagerata e sostanzialmente ingiustificata cifra dei loro emolumenti. Tendendo conto che, in generale, la gran parte dei parlamentari lavora dal martedì pomeriggio al venerdì mattina per poi concedersi lunghi week end. Inoltre la cifra stanziata per i collaboratori parlamentari è spesso di appannaggio di parenti stretti del Deputato. La riduzione è un primo significativo segnale per un contenimento dei privilegi di cui si sono circondati; ricordiamo che questi ultimi,senza alcun controllo,  di istituzioni terze o popolari, si attribuiscono cifre, a volte,  troppo alte. È evidente che bisogna mutare, nel caso di vittoria del Sì, la geografia dei Collegi Elettorali: e, contestualmente, dotarsi di una Legge Elettorale nuova, che abolisca l’antidemocratica creazione, da parte dei Partiti, delle liste, valide solo a fini elettorali.

Le posizioni dei vari partiti

Decidere dove mettere la x il giorno 20 e 21 sembra più complesso del previsto, se si ascoltano i pareri delle diverse forze politiche in campo. A due settimane dall’ Election Day “c’è una sorta di trasformazione politica sotterranea” – suggerisce Ciccio Capozzi – per cui anche le forze politiche favorevoli al Sì in un primo tempo, adesso lo sono molto di meno, quasi a voler far fallire gli intenti del M5S”. L’Italian Times parla di “stranezze e bizzarrie della politica italiana”: dopo l’uniformità del voto in Parlamento oggi i sondaggi riportano un 71% favorevole al Sì contro un 29% per il No. I favorevoli sono distribuiti trasversalmente nelle forze politiche maggiori seppur con dei “ma”.

Favorevole al Sì Zingaretti, sottosegretario del PD, a patto di una riforma elettorale imminente. “Sì al taglio dei parlamentari se correlato da una nuova legge elettorale con impianto proporzionale, che garantistica rappresentatività” – sostiene Zingaretti. La linea della Direzione ufficiale del PD, dopo molti dubbi e ritardi è stata sciolta lunedì 7 settembre. “Avanti con le riforme” – decide Zingaretti- , aggiungendo la proposta del  bicameralismo differenziato.

“Inviteremo tutti a votare per confermare il taglio dei parlamentari nel Parlamento”, queste sono le dichiarazioni di Salvini sul fronte Lega, nonostante i silenzi degli ultimi giorni. Non mancano, però, i dissensi all’interno del partito con nomi quali Claudio Borghi e l’ex sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti.

Apertamente schierata per il Sì la Meloni con Fratelli d’Italia, così anche Pier Luigi Bersani. Convinti sostenitori del No Emma Bonino di +Europa, Carlo Calenda di Azione e Sinistra Italia.

Le posizioni più frastagliate sono quelle all’interno di Forza Italia. Berlusconi, prima di ammalarsi, ha dato libera scelta di voto ai suoi commilitoni, mentre lui è ancora incerto sul da farsi. Schierata per il sì, invece, la Gelmini.

Libertà di voto per i Dem da parte di Matteo Renzi, la sua scelta resta, invece,  assai  poco chiara.

Interessante invece, il caso del gruppo editoriale Gedi al quale appartiene il quotidiano Repubblica, che si è apertamente e fortemente schierato per il No. “Il Manifesto” del No è stato sottoscritto e pubblicato ripetutamente in diversi editoriali del direttore di Repubblica, Maurizio Molinari.

Il panorama resta caldo e in due settimane tutto può succedere.

Per scoprire cosa accadrà non ci resta che attendere.

Raffaella Grimaldi
con la collaborazione di Ciccio Capozzi


[1] Fonte Referendum sul taglio dei parlamentari, l’opinione di Flick,  Intervista a RaiNews24, 22/08/2020

[2] Fonte Taglio dei parlamentari: “Il nostro ‘No’ al referendum senza legge elettorale e regolamenti” di    Luciano Bardi, Piero Ignazi e Oreste Massari, in Repubblica.it, 03/09/2020

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