Nord-Sud, le origini del divario

Per comprendere la questione meridionale è necessario parlare delle sue origini e chiederci se il divario Nord-Sud ha avuto origine prima o dopo l’impresa garibaldina. La domanda ha dato origine a numerosi studi e interpretazioni. Non sono mancate, e tuttora riemergono, varie strumentalizzazioni da parte di pseudo-revisionisti (pseudo, giacché il revisionismo serio è insito nel lavoro degli storici) che, appigliandosi ad aspetti specifici, hanno mitizzato un passato che per loro sembra non passi e hanno cercato di sminuire o, addirittura negare, il valore del processo unitario. Ma per meglio rispondere alla domanda iniziale mi sembra opportuno porne prima un’altra: perché l’unificazione è partita dal Piemonte e non dal Regno delle due Sicilie? Meglio di me risponde un noto storico, Francesco Barbagallo: «Non è difficile rispondere al quesito circa la strana annessione del più grande regno della penisola al piccolo Piemonte. Il Regno di Sardegna giunse a diventare il Regno d’Italia perché era l’unico antico Stato italiano che si era dato una costituzione, un parlamento, un regime liberale ed era guidato da uno statista che seppe guadagnarsi il sostegno o almeno la non ostilità delle potenze liberali e fece del Piemonte l’unico referente della massima parte dei patrioti italiani sparsi in tutte le regioni. Il Regno delle Due Sicilie invece era ancora uno Stato assoluto. Ferdinando I e Ferdinando II avevano entrambi spergiurato e ritirate le costituzioni dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1821 e del 1848. Anche il parlamento era stato abolito».

Insomma le élites protagoniste del Risorgimento, che erano mosse da spinte culturali e morali nel nome della libertà e dell’indipendenza, hanno riposto le loro speranze nell’unico Stato costituzionale della penisola. Quindi, torniamo alla domanda iniziale. Gli studiosi propendono a credere che le differenze di reddito non fossero rilevanti ma che, nel Sud più che altrove, vi fossero forti disuguaglianze: è stato calcolato che nel 1861 la percentuale di popolazione in condizioni di povertà assoluta era del 37% nel Centro-Nord e al Sud saliva al 52%. L’Italia del 1860 era un paese agricolo e l’agricoltura meridionale era particolarmente arretrata e le terre possedute da una borghesia assenteista e parassitaria. La manifattura o era in mano allo Stato, come i cantieri navali di Castellammare e le officine di Pietrarsa, o nelle mani di stranieri, come gli stabilimenti tessili nelle valli del Sarno e dell’Irno.

Di seguito alcuni aspetti del divario per i quali esistono dati attendibili.

Ferrovie. È significativo il ritardo del Sud nella dotazione, a quei tempi essenziale, di strade ferrate. Poco giova esaltare il primato conseguito dal regno borbonico con la costruzione di 8 chilometri di ferrovia da Napoli a Portici, inaugurata nel 1839, con il fine di collegare più rapidamente i due palazzi reali. Infatti, nel 1859, mentre il Regno di Sardegna disponeva di 850 km di ferrovie in esercizio nel Regno delle due Sicilie erano solo 99 km.

Credito. Il settore del credito, fondamentale per lo sviluppo, era fortemente arretrato al Sud. Vi era il Banco di Napoli che aprì la sua prima filiale a Bari nel 1857, e il Banco di Sicilia, che emettevano solo fedi di credito.

Statura. La statura media è considerato un indicatore importante. Infatti non vi sono dubbi sul fatto che le disparità nell’altezza riflettano le condizioni di vita nell’età della crescita: carenze nell’alimentazione, gravi malattie, un lavoro eccessivamente duro già da bambini. Disponiamo dei dati attendibili sull’arruolamento militare anche per epoche remote: nel 1861 l’altezza media degli iscritti alla leva nel Centro-Nord era di 164,1 centimetri, quella del Mezzogiorno era 160,9. Non sono pochi 3,2 centimetri di differenza.

Analfabetismo. Il divario maggiore si registrava nel settore della cultura e dell’istruzione. Infatti, nel 1861, nel Piemonte (Liguria compresa) gli analfabeti erano il 54,2% della popolazione mentre nel Regno delle due Sicilie salivano al 87%. Negli stessi territori, nel 1862, un abitante riceveva in media 6,1 lettere all’anno, nel primo caso, e solo 1,6 nel secondo. Giova ricordare che il Regno di Sardegna aveva varato, nel 1859, la legge Casati per l’istruzione primaria obbligatoria e gratuita. È noto come la capacità di leggere e scrivere sia la base minima di ogni progresso civile ed economico.

Tutto ciò mi porta a sostenere che il divario Nord-Sud era preesistente all’Unità; ciò non rallegra, ma fa giustizia di quelle dicerie pseudo-revisioniste che tanto contribuiscono a perpetuare vittimismi e localismi deleteri. La Storia è zeppa di episodi e ognuno può pescare quelli che più soddisfano le sue aspettative. Ma per averne un’immagine più precisa è meglio leggerla come un processo dinamico dal quale possono essere estratti, a fatica, dei sotto-processi (il Rinascimento, il Risorgimento, la Resistenza…); su quest’ultimi possiamo, più compiutamente, fare le nostre valutazioni. La conoscenza storica o ci aiuta a guardare avanti e avanzare o diviene un ingombrante e inutile fardello. Desidero chiudere con una domanda ai miei venticinque lettori: voi pensate di trovare nella Storia dei punti di partenza o dei punti di arrivo?*

* Bibliografia: Francesco Barbagallo, La questione italiana, Editori Laterza; Emanuele Felice, Perché il sud è rimasto indietro, Il Mulino; Vera Zamagn, Introduzione alla storia economica d’Italia, Il Mulino.

Massimo Calise

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