Addio Aretha, Regina del Soul

Chissà se, appena varcata la soglia del Paradiso, la regina del soul abbia ripreso la celebre litigata a suon di musica con Matt “guitar” Murphy davanti ad uno sconsolato ed indifferente John Belushi. Aretha Franklin ci ha lasciato. Dopo aver lottato per quasi otto anni con un cancro al pancreas, che non le aveva impedito di calcare i palchi ed incantare le platee con la sua voce, la regina del soul si è dovuta suo malgrado arrendere, spegnendosi il 16 agosto a Detroit, all’età di 76 anni. Nata a Memphis il 25 marzo 1942, Aretha Louise Franklin, aveva nel dna la musica. Padre predicatore battista, conosciuto in tutti gli Stati dell’Unione, madre cantante gospel, Aretha comincia sin da bambina a cantare nei cori della chiesa del padre insieme alle sorelle Carolyn ed Emma, accompagnando al piano molte delle celebrazioni. Lo shock dell’abbandono della madre, a sei anni, e due gravidanze precoci – a 14 e 16 anni – pur segnandola profondamente non le impediscono di seguire quella che era una vocazione naturale.

Negli anni Cinquanta il produttore discografico Berry Gordy cerca, senza successo, di arruolarla nella mitica scuderia Motown. In seguito, il tentativo di farla firmare con la RCA. Ma niente. Alla fine è John Hammond a spuntarla, portandola alla Columbia. Con questa etichetta arrivano i primi successi in 45 giri, tra i quali “Rock-a-bye Your Baby with a Dixie Melody”.

Gli anni del successo: la svolta del 1967

Passata all’Atlantic Records nel 1967, collabora con i produttori Jerry Wexler e Arif Mardin che imprimono alle nuove registrazioni una venatura soul e alcuni loro lavori – ad esempio “I Never Loved a Man (The Way I Love You)”– influenzeranno grandemente lo scenario R&B degli anni a venire, facendole meritare subito il titolo di The Queen of Soul (la Regina del Soul). In questi anni Aretha consegue notorietà internazionale e diviene motivo di orgoglio per le minoranze di colore americane, soprattutto con la sua interpretazione del brano “Respect” di Otis Redding, assorto in breve tempo ad inno dei movimenti femministi e per i diritti civili. In questo periodo Aretha domina le classifiche, ottenendo numerosi album d’oro e di platino e piazzando quasi tutti i suoi singoli nella top 10 della Billboard Hot 100.

Nonostante il declino, tra il 1968 e il 1975 si aggiudica ben 8 Grammy Award consecutivi. In tutto, nell’arco della carriera, saranno ventuno, tanto che il premio venne ribattezzato “The Aretha Award”, il premio Aretha.

Il 3 gennaio 1987 diviene la prima donna ad entrare a far parte della Rock and Roll Hall of Fame.

Anni settanta: il declino commerciale

Nei primi anni Settanta, Aretha Franklin sceglie di utilizzare sonorità più dolci, senza perdere nulla della sua potenza vocale. Pur continuando il sodalizio artistico con Wexler e Mardin, comincia ad assumere un ruolo sempre più importante nel produrre i suoi lavori. Nel 1973 Quincy Jones collabora al suo nuovo album You ma il disco, nonostante il singolo “Angel” scritto dalla sorella Carolyn sia diventato un classico della musica soul, non guadagna la fortuna sperata: personaggi legati alla emergente disco music monopolizzano il mercato del tempo e la Atlantic concede sempre meno spazio e meno materiale alla Franklin, privilegiando artiste emergenti quali Roberta Flack.

Gli anni ottanta: la rinascita con i Blues Brothers

Nel 1980 Aretha ritorna all’attenzione del pubblico con la partecipazione al film The Blues Brothers, diretto da John Landis, con John Belushi e Dan Aykroyd, che diviene, in breve, un cult movie. Nella pellicola interpreta la parte della moglie di Matt “guitar” Murphy ed esegue il suo vecchio successo Think. Nello stesso anno, il produttore Clive Davis la mette sotto contratto con la sua Arista Records: incide i singoli United Together e Love All the Hurt Away, quest’ultimo in duetto con George Benson. Di lì il ritorno in classifica. Nel 2000 partecipa anche al sequel “Blues Brothers: Il mito continua”, interpretando il brano Respect.

La sua fobia per il volo, l’ha costretta a grandi rinunce, tra cui la partecipazione al musical di Broadway “Sing, Mahalia, Sing”.

L’incrocio con l’Italia

Ai Grammy del 1998, dovendo sostituire Luciano Pavarotti colpito da un malessere, improvvisa, in 20 minuti, un’interpretazione del Nessun dorma in tonalità originale, cantando la prima strofa in italiano. La performance è considerata una delle più grandi esibizioni di sempre ai Grammy.

L’impegno politico in difesa del popolo afroamericano

Nota la sua battaglia in favore dei diritti civili degli afroamericani, caratterizzata anche per quella profonda amicizia tra il padre e Martin Luther King, che lei omaggerà, nel giorno dei suoi funerali nel 1968, con una storica interpretazione di “Precious Lord”. Un impegno, quello per l’affermazione del “black power” che l’accompagnerà per tutta la vita, consacrato il 20 gennaio 2009 quandò canterà alla cerimonia di insediamento di Barack Obama, 44esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, primo Presidente di origine afroamericana, onore non concesso in seguito a Donald Trump, rifiutandosi apertamente di cantare alla sua cerimonia di insediamento, il 20 gennaio 2017.

Mattia Antonio Carpinelli

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