BODY SHAMING: UNA PIAGA SOCIALE E CIBERNETICA – IL CASO DI MELISSA BLAKE

«Hai il viso che sembra una patata, una mongolfiera o un pesce blob. Sei troppo brutta per postare tue foto sui social, dovrebbero impedirtelo».

Ecco come alcuni utenti su Twitter si rivolgono a Melissa Blake, giornalista e attivista americana, in risposta ad alcuni tweet della donna. In replica a tali insulti Melissa posta altri tre selfie, senza lasciarsi abbattere o mortificare da tali commenti offensivi.

Vedere un volto che non rientra nella categoria moderna di “bello” e insultarlo pubblicamente sembra essere diventato un gesto non solo comune, ma automatico, come un riflesso, come lo sbattere di ciglia. Altrettanto automatico e consentito dalla società è l’abitudine di criticare, giudicare le cosiddette “imperfezioni fisiche”.

In poche parole, sembra quasi, per assurdo, che la comunità cibernetica apprezzi e acconsenta sul web la presenza di corpi che rientrano nella categoria di “bello” e “perfetto”. Al contrario tutto ciò che non è ritenuto “bello”, “perfetto”, viene bannato o peggio diventa oggetto di offese ed insulti.

Allo stesso modo, il volto di Melissa Blake, non solo non è stato apprezzato, ma diventato bersaglio di parole molto crudeli e disumane. Come se non fosse stato abbastanza per Melissa dover combattere dalla nascita la sindrome di Freeman- Sheldon una rara condizione genetica caratterizzata da alterazioni ossee che comportano dismorfismi al volto, alle mani e ai piedi; come se non fosse stato abbastanza dover sopportare ben 26 interventi nell’arco della sua vita e una condizione di disabilità perenne. Nonostante ciò Melissa, grazie alla sana educazione ricevuta dai genitori e al loro costante supporto, riesce a laurearsi in giornalismo e a dedicarsi a ciò che più ama. Ciò che il mondo del web nota però, non è la sua arguzia, la sua intelligenza o la sua dolcezza, ma l’essere fuori dal comune, o non “esteticamente nella norma”.

Grazie al suo coraggio e alla sua sagace risposta («Mi dicono che sono brutta e che non dovrei postare selfie, ecco perché oggi ne pubblico altri tre!»), il caso di Melissa diventa virale: tantissimi i commenti positivi di supporto e tra i nuovi followers anche l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

Se l’episodio di Melissa è senz’altro singolare, non lo è il fenomeno ad esso correlato: stiamo parlando di body shaming, ovvero l’uso poco gentile di insultare e far vergognare le persone per il loro aspetto fisico (dal verbo to shame, far vergognare).

Si tratta di un nefasto fenomeno che sta prendendo il sopravvento sempre di più sui social e che però rispecchia la vita reale e il modo di pensare sempre più radicato nella nostra società. Malauguratamente è un fenomeno che talvolta passa inosservato, ma che si ripete quotidianamente. Prendiamo ad esempio il profilo di qualsiasi personaggio noto del mondo dello spettacolo e leggiamo i commenti ai suoi post: basta un capello fuori posto, una ruga, un filo di cellulite che il popolo web impazza in commenti negativi.

Ciò che a mio avviso, risulta essere ancor più preoccupante, è il fatto che il body shaming non sia solo un fenomeno cibernetico, quanto una piaga sociale. Riflettete su come il linguaggio e il pensiero odierno siano fortemente permeati sull’estetica e sulla bellezza, e quanto questo modo di ragionare influenzi tutte le generazioni, bambini, adolescenti e adulti. Mai sentito di bambini che si ammalano perché definiti grassi e che non vogliono mangiare più? O di persone adulte che cadono in depressione perché continuamente stigmatizzate? Potrei continuare all’infinto con tali esempi.

L’invito che faccio, partendo dal coraggioso e intelligente esempio di Melissa Blake, è una riflessione sul linguaggio che quotidianamente ed erroneamente usiamo riferendoci all’estetica. Urge, dunque, interrogarsi su di esso, e sul modo di pensare che si nasconde dietro, cercando di sensibilizzare e rieducare una società sempre più vana, in cui si sta perdendo totalmente il valore dell’essenza a vantaggio dell’apparenza.

Raffaella Grimaldi

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