Dalla relatività alla fisica quantistica

Nell’ultimo secolo la fisica ha percorso notevoli passi in avanti contribuendo a modificare la nostra stessa percezione della realtà, dall’astronomia fino all’osservazione delle particelle più piccole della materia. Nell’antichità ogni popolo aveva una sua propria concezione del mondo, dagli Egizi ai Maya, dai Greci agli abitanti dell’Isola di Pasqua, poiché ciascuna teoria non poteva basarsi su un metodo sperimentale e falsificabile, quindi “universale” ma su mere e inconfutabili credenze: religiose, mistiche o al massimo deduttive.

E, in fondo, la storia della fisica classica – che nasce nelle nebbie del passato del I millennio PEV sino alla maturità del ‘600 – è sembrata procedere senza particolari intoppi sono a…ad Albert Einstein, fisico tedesco e filosofo della scienza naturalizzato statunitense che con un’eccezionale intuizione contro-intuitiva ha sovvertito le più profonde convinzioni “naturali” della fisica, mutando per sempre il modello di interpretazione del mondo fisico. Nel 1921 ricevette il Premio Nobel per la scoperta dell’effetto fotoelettrico nel 1921, la sua fama dilagò in tutto il mondo soprattutto per la Teoria della relatività, in grado, per l’assoluta originalità, di colpire l’immaginario collettivo. Per la vastità e la complessità delle teorie di Einstein ci limitiamo a mettere in evidenza il principio della relatività in antitesi alla concezione di spazio e tempo della tradizione classica. La Teoria della relatività speciale descrive il comportamento dello spazio e del tempo nei sistemi inerziali. Il fondamento è che la velocità della luce per tutti gli osservatori – indipendentemente dalla velocità a cui questi si muovono gli uni rispetto agli altri – è identica, e quindi costante. In un primo momento questo sembrava contraddire le esperienze quotidiane. Da ciò derivano conseguenze importanti come spiega bene H. Lesch nel suo libro “Fisica da tasca – Esperimenti e idee sulla natura delle cose”:

1) Lo spazio e il tempo non possono più essere osservati separatamente, ma si fondono in una nuova grandezza fisica, lo spazio-tempo;

2) La velocità della luce non si può mai superare, poiché ciò porterebbe a una inversione della direzione temporale, violando così la causalità e quindi la successione di causa ed effetto di un evento;

3) Se si osserva un sistema di riferimento che si muove a una certa velocità rispetto all’osservatore, per esempio un’astronave, si constata che lì il tempo apparentemente trascorre più lentamente ed è “dilatato”;

4) La stessa astronave – e tutto ciò che vi è all’interno – sembra accorciarsi lungo la sua direzione di movimento, di conseguenza si ha la contrazione della lunghezza;

5) La massa di un oggetto sembra tanto più grande quanto più velocemente si muove (rispetto all’osservatore) e alla velocità della luce sarebbe apparentemente infinita.

Tutti questi effetti sorprendenti sono stati confermati oggi con assoluta precisione. Il tema della distorsione temporale è molto comune nella fantascienza, sebbene non sia affatto fantastico. Le distorsioni temporali esistono per davvero, così come il paradosso dei gemelli introdotto dal fisico francese Paul Langevin risulta confermato (per approssimazioni). Anche le ricadute culturali delle intuizioni – poi scoperte confermate di Einstein – sono (e soprattutto in futuro saranno) enormi. Per esempio, il Cristianesimo aveva basato la concezione del tempo sul pensiero di Agostino d’Ippona inteso come direzione lineare-progressiva e non più come ciclicitàtipico del mondo pagano; secondo un’idea escatologica, il tempo nasce con la caduta di Adamo per poi essere consumato dall’uomo fino al ritorno verso dio e l’eternità spirituale. Evidentemente, siamo in attesa di (inevitabili) “effetti” dottrinali prima e culturali della relatività.

Le difficoltà non finiscono qui, infatti successivamente un altro tedesco, W. Karl Heisenberg – premio Nobel per la Fisica nel 1932 e considerato uno dei fondatori della meccanica quantistica – affermò quello che oggi è noto come l’omonimo principio di indeterminazione, per cui conoscere dove si trovi un atomo, un elettrone o qualsivoglia altra particella, e contemporaneamente di conoscerne anche le modalità di movimento è impossibile. Anzi, non solo la conoscenza delle due cose è impossibile, ma l’idea stessa di un atomo che abbia una posizione e un moto definiti è di per sé priva di significato. Ci si può chiedere dove si trova un certo atomo, e aspettarci una risposta che abbia senso. Oppure, ci si può chiedere come si muove, e anche qui aspettarci una risposta che abbia senso. Ma alla domanda dov’è e a quale velocità sta andando quel certo atomo, non c’è risposta alcuna. La posizione e il movimento (più esattamente, la quantità di moto) costituiscono due aspetti della realtà che per la particella microscopica sono reciprocamente incompatibili. Ma cosa ci autorizza a dire che l’atomo è una cosa se non si trova da nessuna parte o non ha movimento rilevabile? Secondo il fisico Niels Henrik David Bohr l’indistinto e nebuloso mondo dell’atomo prende corpo nella realtà concreta solo quando lo si osserva. In assenza dell’osservazione, l’atomo è un fantasma: si materializza soltanto quando lo si cerca; siamo noi a stabilire cosa cercare. Ne ricerchiamo la posizione, ed ecco che lì c’è un atomo; ne ricerchiamo il movimento, ed ecco un atomo con velocità e accelerazione, ma non si può avere l’una e l’altra cosa. La realtà cui l’osservazione dà corpo non è separabile dall’osservatore e dalla strategia di misurazione scelta da questi. Oggi molti fisici di tutto il mondo tentano di unificare le due teorie. Nel libro “La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo” lo stesso Stephen Hawking, forse il maggior fisico oggi vivente, ammette: «La difficoltà principale nel trovare una teoria che unifichi la gravità con le altre forze è data dal fatto che la relatività generale è una teoria classica, ossia non incorpora il principio di indeterminazione della meccanica quantistica. Le altre teorie parziali, dal canto loro, dipendono in modo essenziale dalla meccanica quantistica. Un primo passo da compiersi, quindi, è quello di combinare la relatività generale con il principio di indeterminazione». E se l’unificazione fosse solo un’illusione, poiché l’universo si potrebbe presentare in modo casuale, arbitrario e relativo? Ma soprattutto, la realtà come la stiamo osservando noi oggi, sarà uguale a quella dei nostri figli?

Sante Biello

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